lunedì 23 giugno 2014

Dovresti studiare, e tanto

invece apri quel libro che da mesi non finisci e vuoi distrarti un attimo dalla vita. Perchè è quella che soffoca, non lo studio.
"Cosa c'è che non ti fa dormire, gli esami?"
"Sì... noi e gli esami"
Soprattutto noi. Sempre noi. Un "noi" che mi ha fatto traballare, piangere, sperare, bramare e adesso, diocccristo, mi sembra svuotato di tutto. Ma cosa abbiamo? Ma cosa abbiamo mai avuto? Ma che accidenti ho visto e inseguito tutto questo tempo? Lo voglio, lo rivoglio indietro. Voglio che ci sia e voglio che funzioni. Perchè forse la scelta migliore è darci un taglio e "Ehi, non può andare più in là di così, restiamo amici". Ma io non voglio.
Come dite voi, ragazze, come so benissimo io, le situazioni in bilico non possono portare a niente di buono. Devo fare un passo. Ma quale? Ho solo la netta, pessima, impressione che sarà un errore.
Comunque, dicevo, ho aperto il libro.

"Tu lo sai che sono un po' lenta, tanto più se paragonata a te. Ma da ieri la mia mente si va schiarendo e capisco facilmente cose che prima mi sembravano complicate. Per esempio, che in nessun caso vorrei voltare le spalle a quello che c'è tra noi. Sono disposta ad aspettare quanto occorre, quanto ti occorre. Perchè "quello che c'è tra noi" merita l'attesa. Anzi, c'è tempo. Così mi sembra oggi. Yair, non credo tu sia la persona in grado di guarirmi dalle ferite interiori; ma forse, in questa fase della mia vita, non ho tanto bisogno di un medico quanto di una persona che ha una ferita simile alla mia."
(David Grossman, Che tu sia per me il coltello)

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domenica 8 giugno 2014

"Sali un attimo?"

"No guarda - fa lui scostandosi dalla porta - filo a casa che è già tardi... ci sentiamo."
Due baci veloci per salutarsi, si gira e cammina verso la macchina.
Lei resta a guardare la sua schiena, senza sorridere. La strada è poco illuminata, si distinguono i capelli e il profilo del giubbotto, di spalle potrebbe essere chiunque; un passante, un amico che saluta e torna alla sua vita, come niente fosse.
E' ora di entrare in casa, Claudia. Cosa stai aspettando ancora?
Cosa aspetta? Niente, sarebbe la risposta giusta. Stasera, come diverse altre sere precedenti, non doveva succedere niente: si esce con gli amici, si fa la strada insieme per raggiungere gli altri, si chiacchiera, si sta in silenzio e, tranquilli, ci si dà la buonanotte fino al prossimo weekend. E ci si manca, fino al prossimo weekend. A lei, a dirla tutta, mancava già. Già dal momento in cui aveva girato sui tacchi senza guardarla; già dalla settimana prima, in realtà. 
Qual è il problema, mi chiedo, vi siete visti, no? Avete detto le vostre cazzate, no?
Sì, sì, era andato tutto bene, si ripete. E cosa pretende, allora? Anzi, cosa attende? C'è quella sensazione scomoda alla bocca dello stomaco, come se ti avessero preso via un pezzettino e non avessero rimesso le cose a posto. Un piccolo vuoto, lì sotto il cuore, vicino ai polmoni, che alimenta sospiri ed è così facilmente ignorabile. Di solito. 
Eppure va tutto bene, non c'è niente che deve cambiare, perchè non sei contenta?
Non c'è niente che deve cambiare...? Ci teniamo in un equilibrio stretto, innaturale... a tratti soffocante. Ma ci siamo sforzati tanto per mettere in chiaro questa condizione di "via di mezzo", no? 
Ripensa a loro. E all'ultimo mese. Ripensa a come sono riusciti, finalmente, a parlare, ad aprire il cuore ed ammettere, lei per prima, quello che le passava per la testa. Che razza di rapporto abbiamo, era la domanda. Una bella domanda. C'è qualcosa? C'è del sentimento? Innegabile. Ma abbastanza da portare a...? No. Questo no. Solo a pensarci era ansia, e problemi, e un intero quaderno di ragioni sul perchè non dovevano stare insieme. Ma amici... mai. 
Allora? Si erano chiesti. Allora si vede. Io, te, il tempo e le vicende... per ora una cosa: non so cosa voglio diventiamo, non so cosa possiamo diventare, ma so quanto ci tengo e so, finalmente, cosa passa per la testa anche a te.
All'inizio era stata molto fiera di questo risultato. Si erano detti la verità, non dovevano nascondere, non dovevano farsi duemila paranoie su cosa mai potesse l'altro intendere o pensare ad ogni messaggino, sorriso, domanda. Si poteva stare sereni, adesso, tranquilli. Le cose avrebbero fatto il loro corso e loro sarebbero stati tranquilli. 
E' stato l'equilibrio perfetto. Per circa quindici giorni. 
Ma le cose non si risolvono finché non lo fai tu. Loro possono prendere certe pieghe, vedere come reagisci, costringerti a certe decisioni... ma non vanno al loro posto da sole. Ed è stato così che anche ribadendo che, ehi, adesso ci diciamo tutto, eh, adesso ci sentiamo senza problemi, adesso ci siamo chiariti... le paure sono tornate, le ansie, le scocciature per ogni parola non colta, per ogni messaggio non risposto, per ogni uscita che le ribaltava la prospettiva e le faceva pensare "Ehm, forse non pensa quello che pensavo pensasse...".
E adesso che, di nuovo, lui andava via, lei non era serena. Nè tranquilla. Nè, tantomeno, contenta. 
Ma come fare. Non stai bene nella via di mezzo, ma allo stesso modo nessuno vuole sbilanciarsi, per terrore di cadere dall'altra parte.
"Riccardo."
Lui si ferma, aveva fatto appena sei passi.
"Penso solo a te, sempre a te, e non so cosa dovrei fare."
Pensa anche un'altra cosa, in realtà: pensa che non funzionerebbero mai, insieme, neanche un po'. Che è un rischio da non prendere. Lo sa già. E stava per dirlo.
Sta per dirlo ma lui si è girato, ancora, e stavolta la guarda.
Brucia quei passi tra di loro e le è davanti, sempre guardandola.
E prima che possa uscire la seconda frase, le prende il viso, attirandola a sé, non permettendole di aggiungere altro. 

Forse lui non la pensava così. 
O forse lo temeva un po',
oppure lo sapeva ma, semplicemente, non gli interessava.

C.